1. Problemi di metodo per la storia di Roma arcaica

Le narrazioni sul periodo più antico della storia di Roma iniziarono intorno alla fine del III secolo a.C. proseguendo fino all’età augustea, con il punto d’arrivo nelle opere di Tito Livio e Dionigi d’Alicarnasso che  rielaborano lo stesso materiale anche se le loro opere sono molto difformi per estensione e organizzazione dei materiali.

La prima storiografia romana sorta alla fine del III secolo nacque secondo i principi della storiografia greca e molto importante fu l’utilizzo della stessa lingua greca che dimostrò l’intento politico di un accoglimento di Roma nella cultura magnogreca e siciliana. Questa necessità di un’ellenizzazione della storia di Roma arcaica andò crescendo durante l’espansione imperialistica ma questo atteggiamento cambiò durante il II secolo a partire dalle Origines di Catone, opera che si  rivolge soprattutto ai problemi di politica interna della storia di Roma. Da questo momento la narrazione dell’antica storia di Roma inizia a diventare un vero e proprio strumento ideologico all’interno della vita politica romana, portando così a un’attualizzazione anacronistica della storia più arcaica.

Vi è un carattere unitario della più antica storiografia romana da Fabio Pittore a Catone, a Calpurnio Pisono e agli Annales di Ennio: il loro interesse si rivolge soprattutto all’età a loro più prossima ma inizia già dall’età regia, mentre per il V secolo con il passaggio alla repubblica le informazioni sono molto più scarse e caratterizzate da racconti leggendari.

Questa disposizione è frutto dell’interesse dei greci del IV sec nel ricondurre le origini di Roma e dell’età regia nell’alveolo della cultura greca con l’affacciarsi di Roma in Campania e nella Magna Grecia. Infatti le più antiche notizie dei miti romani sono legati alla colonizzazione greca dell’Occidente,  per opera di mercanti e coloni greci che per nobilitarsi usavano il loro patrimonio storico-mitologico soprattutto legato alla guerra di Troia. L’accettazione di questo patrimonio mitologico ellenico da parte dei romani si ebbe per legittimare in questo modo la loro origine, come è evidente nel mito di Enea. Così abbiamo per quest’epoca arcaica un patrimonio comune dove non è facile riconoscere anche il contributo delle tradizioni locali, sicuramente presenti. Sicuramente quest’accettazione di una comunanza di stirpe tra i due popoli mirava a una loro alleanza politica che servì a partire dalle conquiste romane della Magna Grecia nel III secolo.

Per le fasi iniziali della repubblica e quindi per tutto il V secolo non abbiamo molte notizie. Delle Dodici Tavole è emblematico il fatto che la tradizione storico-letteraria non dica nulla sui contenuti della legge (tranne in Dionigi in confronto con le leggi regie e il divieto del connubium).  Più importante fu per la tradizione la storia esterna dell’emanazione delle Dodici Tavole attraverso la pressione dei ceti bassi, ma che oggi sembra essere una ipotesi improbabile (esame comparativo di Eder) piuttosto i recenti studi sostengono che le Dodici Tavole furono un’autoregolamentazione fatta dagli stessi aristocratici per la volontà di una fissazione giuridica di regole già in essere; altrettanto anacronistica per quanto riguarda le Dodici Tavole risulta essere anche l’ipotesi della loro imitazione di leggi greche tramite un’ambasceria inviata ad Atene; anacronistiche furono anche le costituzioni fatte discendere da Romolo e Servio Tullio come nell’opera di Dionigi dove risultano evidenti i lessici verbali e i concetti propri dell’età post-silliana, influenzati dal De repubblica di Platone e dalla Politica di Aristotele;  anacronistico è il discepolato di Numa Pompilio da Pitagora, sempre frutto della ricerca di una legittimazione culturale greca all’interno della storia romana.