il sole e la luna

La misurazione del tempo, che oggi diamo per scontata, è una problematica che ha arrovellato per secoli tutti i popoli antichi.

Riuscire a standardizzare un metodo di misura del tempo è infatti una conquista relativamente recente. Tanto più che il modo di misurare il tempo varia in relazione al modo di “pensare” il tempo.

Una delle grandi difficoltà che hanno gli storici nel ricostruire la cronologia degli eventi passati è legata proprio a un modo diverso di misurare il tempo legato a datazioni relative continuamente mutevoli (“cinque anni dopo la battaglia di Azio”, “lo stesso anno del ritorno di Cesare dalla campagna di…”, per fare degli esempi inventati).

I romani hanno modificato varie volte il loro calendario e si sono indubbiamente distinti per delle modalità di scansione del tempo assolutamente “caotiche”, “irrazionali”, come scrive Plutarco [Vita di Numa, 18,2].

Sempre secondo Plutarco ai tempi di Romolo i mesi avevano lunghezze molto variabili, vi erano mesi di 20 giorni e mesi con più di 35. Non vi era inoltre distinzione tra l’anno lunare e quello solare e l’anno sembra incominciasse da marzo e fosse di dieci mesi.

Sembra che già Numa ebbe l’esigenza di modificare tale calendario (la modifica fu forse posteriore). Le calende (i giorni della luna nuova) divennero il primo giorno del mese. Altri riferimenti nel corso del mese erano le none, ossia il quinto giorno dei mesi di ventinove giorni e il settimo di quelli con trentuno, e le celebri idi ossia il quindicesimo giorno nei mesi con trentuno e il tredicesimo in quelli con ventinove.

Anche le “none” e le “idi” sono legate alle fasi lunari. Le “none” corrispondono infatti al quarto di luna e le “idi” alla luna piena.

Difficile dire con sicurezza il motivo di tali nomi. Calende sono probabile derivazione del verbo calare traducibile come annunciare ufficialmente. Il primo giorno del mese veniva infatti annunciato dai pontefici.

Le idi potrebbero invece derivare dal calendario etrusco (in cui erano dette Itis, cioè “fiducia in Giove”).

Il nome “none” potrebbe infine indicare la distanza in giorni dalle “idi”, distanza di nove giorni per l’appunto.

Il calendario romano ha sicuramente notevoli influenze religiose e superstiziose. La stessa introduzione di gennaio (Ianus) come primo mese dell’anno potrebbe essere dovuta all’importanza di Giano, il “dio degli inizi”, nella religione romana. I mesi inoltre avevano sempre un numero dispari di giorni.

Il nome di altri mesi invece fa riferimento alla successione in vigore alle origini. Dicembre era, ai tempi di Romolo, il decimo mese, e derivazione simile hanno novembre, ottobre e settembre.

Questo calendario introdotto dopo Romolo (forse da Numa), e poi nuovamente modificato, era così composto:

  • Ianuarius – 29 giorni
  • Februarius – 28 giorni
  • Martius – 31 giorni
  • Aprilis – 29 giorni
  • Maius – 31 giorni
  • Iunius – 29 giorni
  • Quintilis – 31 giorni
  • Sextilis – 29 giorni
  • September – 29 giorni
  • October – 31 giorni
  • November – 29 giorni
  • December – 29 giorni

Il totale dei giorni era quindi 355, numero derivato approssimativamente dalla lunghezza di un anno lunare.

La lunghezza dell’anno era quindi inevitabilmente destinata a non coincidere con la durata dell’anno solare creando sfasamenti continui che venivano periodicamente sistemati da intercalazioni.

Tali aggiunte di giorni creavano grosse confusioni ed aprivano grandi spazi ad una gestione “politica” del calendario.

L’intervento di Cesare

Fu Giulio Cesare a dare al calendario una sistemazione per molti versi più simile a quella odierna introducendo l’anno solare come misura di riferimento del tempo. Tale calendario è noto come calendario giuliano.

Per farlo dovette rifondare completamente il calendario romano ripartendo probabilmente dalle modalità di misurazione degli antichi egizi.

Il 46 a.C. sembra sia stato l’anno decisivo per la sostituzione del nuovo calendario giuliano a quello precedente. Il 46 a.C. fu un anno davvero particolare. Per far quadrare i conti durò infatti 445 giorni.

Vennero anche introdotti gli anni che oggi conosciamo come “bisestili”. Tale nome deriva proprio calendario giuliano romano. Infatti ogni quattro anni il mese di febbraio venne allungato di un giorno, dopo il 24 di febbraio ossia dopo “il secondo giorno sesto (bis sextus)” dalle calende di marzo.