Nel 1973 Luigi Magni si avventurò nelle riprese di un film abbastanza rischioso, La Tosca, tratto dal noto dramma di Sardou.

Operazione sicuramente coraggiosa; proporre in chiave cinematografica questo dramma significava anche confrontarsi con l’opera di Puccini, celebrata in tutto il mondo.

Nell’equipe che accettò il difficile compito ritroviamo figure di primo piano del cinema italiano a partire dalle musiche del maestro Trovajoli (i testi sono scritti dallo stesso Luigi Magni).
Il cast è d’eccezione. Proietti nel ruolo del protagonista Cavaradossi e Monica Vitti in quello di Tosca, e poi Orsini (Cesare Angelotti) e Gassman (Scarpia) ma anche Fabrizi (il Governatore) e Ninetto Davoli (Ussaro).

Indipendentemente dal giudizio sull’intera operazione, una scena del film merita sicuramente una menzione particolare nella nostra categoria dedicata alle canzoni romanesche. Cavaradossi viene rinchiuso a Castel Sant’Angelo per aver ospitato il giacobino Angelotti, suicidatosi poi in prigione ma fatto passare per impiccato in modo da dare al popolo l’idea della “giusta punizione per il colpevole”.

E così, durante l’ora d’aria, inizia a cantare “Nun je da retta Roma” una canzone veramente splendida che Proietti amerà molto e che riproporrà spesso nei suoi spettacoli.

La canzone finge un amaro dialogo tra Cavaradossi e la città Roma. Cavaradossi spinge la città alla ribellione ma Roma non ascolta l’invocazione e si rifugia nei suoi stornelli e nella lenta attesa di un cambiamento non tumultuoso.

In poche righe Magni riesce a dare un’immagine amara ma lucidissima dei difetti profondi che rovinavano (e rovinano, in gran parte) questa città paradossale.

La violenza di un potere molto oppressivo e mentitore (che nel film è la polizia pontificia) nella prima strofa. L’idea del canto come distrazione tipica di un imperante menefreghismo romano. La “saggezza” popolare presa acriticamente come scusa per non cambiare (nel testo viene ripreso, nell’ultima strofa, un celebre proverbio “La gatta presciolosa fece li fiji ciechi” che la città utilizza per schernirsi dai desideri rivoluzionari di Cavaradossi) in nome di una pazienza spesso troppo vicina all’inedia.

Il testo di “Nun je da’ retta Roma” (scritta da Luigi Magni con musiche di Armando Trovajoli)

Nun je da’ retta Roma che t’hanno cojonato
‘Sto morto a pennolone è morto suicidato
Se invece poi te dicheno che un morto s’è ammazzato
Allora è segno certo che l’hanno assassinato

Vojo cantà così, fior de prato…

Che fai, nun me risponni? Me canti ‘no stornello?
Lo vedi chi è er padrone, insorgi, pia er cortello!

Vojo canta così, fiorin fiorello…

Annamo, daje Roma! Chi se fa pecorone
Er lupo se lo magna… Abbasta uno scossone!

Vojo cantà…

Vabbè, fior de limone…

E’ inutile che provochi, a me nun me ce freghi
La gatta presciolosa fece li fiji ciechi
Sei troppo sbarajone, co’ te nun me ce metto
Io batto n’artra strada, io c’ho pazienza, aspetto…
Vojo canta così, fior de rughetto…