Roma è da sempre orgogliosa delle sue bellezze. Ne ha ben donde.

Eppure la straripante mole di opere d’arte e reperti che rende la città unica al mondo non sembra aiuti a far diventare la Roma contemporanea un posto migliore.

Roma, oggi, è senza dubbio una delle città più belle del mondo, ma è anche una città complicata, incapace di gestire l’accoglienza, ingolfata dal traffico, trascurata; una città con una periferia che vive una vita a sé, relegata ai margini del dibattito pubblico.

Roma è anche la città dei centri del potere e della burocrazia diffusa, dei cantieri perenni, della metro come utopia; la città insomma della simultanea compresenza dell’infinita bellezza e dello squallore più tracotante.

Il problema non è solo nella gestione delle “antichità” di Roma. E’ nella comprensione delle stesse.

Il raffronto inevitabile e continuo con il proprio passato sembra stia deprimendo Roma, come se la stesse rendendo una città più pesante, bloccata tra uno ieri glorioso e un futuro irraggiungibile. In questo Roma è davvero Roma Capitale. Caput delle lamentele e dei “ma come, un tempo avevamo Galileo e Leonardo, oggi Renzi e Berlusconi”.

Sarebbe importante affrontarlo a viso aperto questo passato così “importante” e “glorioso”. A viso aperto, senza romanticismi e mitologie. Roma si renderebbe forse conto della poco sostanza della sua gloria che fu. A cominciare dai suoi simboli, una lupa forse frutto dello sconclusionato fantasticare, forse termine elegante per “puttana”; un Colosseo maestoso il cui fascino abbacinante nasconde un senso in realtà piuttosto esplicito: far sbranare alcuni uomini, per divertirne degli altri; per non parlare dell’arte grande di San Pietro. Arte mirabile, immensa, ma sempre in gloria di Dio. Come il Castel Sant’Angelo poco lontano, che regala scorci unici da lungo il Tevere, ma che nasce come folle mausoleo del potere, per diventare non di rado indegna tomba dei galeotti.

E poi il mito dei miti, la gloria dell’impero: riproposta esplicitamente ormai solo dai cori della Sud e dalla propaganda post-missina sembra sempre avere segretamente buona accoglienza tra i romani. Il pensiero del passato Impero glorioso è custodito nell’orgoglio di essere romano, ma non per ciò che Roma è, per ciò che Roma è stata.

Sarà l’aria pesante della crisi, degli Alemanno e dei Marino, inizio a pensare che Roma sia reazionaria nelle viscere, anche quando vota progressista.

Solo per oggi, vendo Michelangelo al miglior offerente, purché si prenda anche il Papa. Faccio lo stesso con Bernini, ma in un unico pacchetto, assieme al Parlamento, ambi i rami.

Non dobbiamo confrontarci con un classico sublime e ideale, non c’è da rifare l’Impero né tanto meno abbiamo bisogno dei Cesari. Si tratta solo di fare un po’ meglio di quelli che hanno violentato l’Occidente. Niente di così difficile.

In fondo non è poi così male la Roma contemporanea, a confrontarla coi fasti che furono.

Gian Lorenzo Bernini - Transverberazione di Santa Teresa