Figlio di una nobile famiglia romana, Stefano Porcari (1400 ca – 1453) riceve una formazione di stampo umanistico. Ricopre varie cariche pubbliche come capitano del popolo (per due volte a Firenze) e podestà (Bologna, Siena e Orvieto).

Il primo tentativo insurrezionale per rovesciare il papa è del 1447. Il tentativo fallisce ed il Porcari viene relegato a Bologna sotto il controllo del cardinal Bessarione, riesce tuttavia a fuggire per organizzare un nuovo moto popolare previsto per il 6 gennaio del 1453. Si rifugia a Roma dal cognato Angelo Masi dove progetta di destituire papa Niccolò V e di instaurare la Repubblica. Contava sull’insurrezione del popolo a seguito della presa di Castel Sant’Angelo da parte di trecento armigeri e quattrocento proscritti, piccolo esercito di cui il Porcari sembra riuscì a conquistarsi la fiducia, o quantomeno la fedeltà.
La congiura viene sgominata, per intervento del papa, quando è ancora in fase di preparazione.

Stefano si nascose, secondo alcune fonti, a casa della sorella probabilmente nel rione Pigna dove viene scoperto ed arrestato dalle guardie pontificie. Condotto a Castel Sant’Angelo subisce, dopo processo, la condanna all’impiccagione, eseguita il 9 gennaio del 1453. Il corpo non venne mai ritrovato.

Alcuni congiurati morirono per mano delle guardie pontificie nel blitz, diremmo oggi, fatto per evitare la congiura, altri finirono al patibolo assieme a lui. Tra di essi restano nella storia di Roma, se non nella storia ufficiale, quella fatta di fonti verificate e di editti timbrati, quantomeno nella storia popolare, Battista Sciarra e Angiolo Roncono.
Sembra che Papa Niccolò V promise a Sciarra e Roncono di aver salva la vita, tuttavia, il sommo Pontefice non riusci a firmare l’atto di grazia nel momento dell’esecuzione a causa del troppo vino trangugiato. Un satirico epigramma ricorda la triste vicenda che vide Bacco trionfare sul Dio cristiano, verità o leggenda che sia. Si tratta forse di una pasquinata:

pasquinata Niccolò V

Davvero complesso, spesso impossibile, e comunque lavoro per storici di professione, ricondurre le pasquinate, così come i molti motti satirici romaneschi, ai legittimi autori in modo da capire se essi siano frutto della verace creatività popolare o della propaganda delle fazioni avverse a quelle dileggiate dalle brevi sentenze.