ANTONIO, CASSIO, BRUTO, CIMBRO.
- ANTONIO
- In traccia, o Bruto, io vengo
- di te: parlar teco degg’io.
- BRUTO
- Favella:
- io t’ascolto.
- ANTONIO
- Ma, dato emmi l’incarco
- dal dittatore…
- BRUTO
- E sia ciò pure.
- ANTONIO
- Io debbo
- favellare a te solo.
- BRUTO
- Io qui son solo.
- Cassio, di Giunia a me germana è sposo;
- del gran Caton mio suocero, l’amico
- era Cimbro, e il piú fido: amor di Roma,
- sangue, amistá, fan che in tre corpi un’alma
- sola siam noi. Nulla può dire a Bruto
- Cesare mai, che nol ridica ei tosto
- a Cassio, e a Cimbro.
- ANTONIO
- Hai tu comun con essi
- anco il padre?
- BRUTO
- Diviso han meco anch’essi
- l’onta e il dolor del tristo nascer mio:
- tutto ei sanno. Favella. – Io son ben certo,
- che in sé tornato Cesare, ei t’invia,
- generoso, per tormi or la vergogna
- d’esser io stato d’un tiranno il figlio.
- Tutto esponi, su dunque: aver non puoi
- del cangiarsi di Cesare sublime,
- da re ch’egli era in cittadin, piú accetti
- testimon mai, di questi. – Or via, ci svela
- il suo novello amore alto per Roma;
- le sue per me vere paterne mire;
- ch’io benedica il dí, che di lui nacqui.
- ANTONIO
- – Di parlare a te solo m’imponeva
- il dittatore. Ei, vero padre, e cieco
- quanto infelice, lusingarsi ancora
- pur vuol, che arrender ti potresti al grido
- possente e sacro di natura.
- BRUTO
- E in quale
- guisa arrendermi debbo? a che piegarmi?…
- ANTONIO
- A rispettare e amar chi a te diè vita:
- ovver, se amar tuo ferreo cuor non puote,
- a non tradire il tuo dover piú sacro;
- a non mostrarti immemore ed indegno
- dei ricevuti benefizj; in somma,
- a mertar quei, ch’egli a te nuovi appresta. –
- Troppo esser temi uman, se a ciò ti pieghi?
- BRUTO
- Queste, ch’or vuote ad arte a me tu dai,
- parole son; stringi, e rispondi. È presto
- Cesare, al dí novello, in pien senato,
- a rinunziar la dittatura? è presto
- senza esercito a starsi? a scior dal rio
- comun terror tutti i Romani? a sciorne
- e gli amici, e i nemici, e in un se stesso?
- a render vita alle da lui sprezzate
- battute e spente leggi sacrosante?
- a sottoporsi ad esse sole ei primo? –
- Questi son, questi, i benefizj espressi,
- cui far può a Bruto il genitor suo vero.
- ANTONIO
- Sta bene. – Altro hai che dirmi?
- BRUTO
- Altro non dico
- a chi udirmi non merta. – Al signor tuo
- riedi tu dunque, e digli; che ancor spero,
- anzi, ch’io credo, e certo son, che al nuovo
- sole in senato utili cose ed alte,
- per la salvezza e libertá di Roma,
- ei proporrá: digli, che Bruto allora,
- di Roma tutta in faccia, a’ piedi suoi
- cadrá primier, qual cittadino e figlio;
- dove pur padre e cittadino ei sia.
- E digli in fin, ch’ardo in mio core al paro
- di far riviver per noi tutti Roma,
- come di far rivivere per essa
- Cesare…
- ANTONIO
- Intendo. – A lui dirò quant’io,
- (pur troppo invan!) gran tempo è giá, gli dissi.
- BRUTO
- Maligno messo, ed infedel, ti estimo,
- infra Cesare e Bruto: ma, s’ei pure
- a ciò te scelse, a te risposta io diedi.
- ANTONIO
- Se a me credesse, e all’utile di Roma.
- Cesare omai, messo ei non altro a Bruto
- dovria mandar, che coi littor le scuri.
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