CASSIO, CIMBRO.
CIMBRO
Quant’io ti dico, è certo: uscir fu visto
Bruto or dianzi di qui; turbato in volto,
pregni di pianto gli occhi, ei si avviava
ver le sue case. Oh! potrebbe egli mai
cangiarsi?…
CASSIO
Ah! no. Bruto ama Roma; ed ama
la gloria, e il retto. A noi verrá tra breve,
come il promise. In lui, piú che in me stesso,
credo, e mi affido. Ogni suo detto, ed opra,
d’alto cor nasce; ei della patria sola
l’util pondera, e vede.
CIMBRO
Eccolo appunto.
CASSIO
Non tel diss’io?
Scena seconda
BRUTO, CASSIO, CIMBRO.
BRUTO
Che fia? voi soli trovo?
CASSIO
E siam noi pochi, ove tu a noi ti aggiungi?
BRUTO
Tullio manca…
CIMBRO
Nol sai? precipitoso
ei con molti altri senatori usciva
di Roma or dianzi.
CASSIO
Il gel degli anni in lui
l’ardir suo prisco, e la virtude agghiaccia…
BRUTO
Ma non l’estingue. Ah! niun Romano ardisca
il gran Tullio spregiar. Per esso io ’l giuro,
che a miglior uopo, a pro di Roma, ei serba
e libertade e vita.
CASSIO
Oh noi felici!
Noi certi almen, siam certi, o di venirne
a onorata laudevole vecchiezza,
liberi; o certi, di perir con Roma,
nel fior degli anni.
BRUTO
Ah! sí; felici voi!…
Nol son io, no; cui riman scelta orrenda
fra il morir snaturato, o il viver servo.
CASSIO
Che dir vuoi tu?
CIMBRO
Dal favellar tuo lungo
col dittator, che ne traesti?
BRUTO
Io?… nulla
per Roma; orrore e dolor smisurato
per me; stupor per voi, misto fors’anco
di un giusto sprezzo.
CIMBRO
E per chi mai?
BRUTO
Per Bruto.
CIMBRO
Spregiarti noi?
CASSIO
Tu, che di Roma sei,
e di noi, l’alma?…
BRUTO
Io son,… chi ’l crederia?…
Misero me!… Finor tenuto io m’era
del divin Cato il genero, e il nipote;…
e del tiranno Cesare io son figlio.
CIMBRO
Che ascolto? Esser potrebbe?…
CASSIO
E sia: non toglie,
che il piú fero nemico del tiranno
non sia Bruto pur sempre: ah! Cassio il giura.
BRUTO
Orribil macchia inaspettata io trovo
nel mio sangue; a lavarla, io tutto il deggio
versar per Roma.
CASSIO
O Bruto, di te stesso
figlio esser dei.
CIMBRO
Ma pur, quai prove addusse
Cesare a te? Come a lui fede?…
BRUTO
Ah! prove,
certe pur troppo, ei mi adducea. Qual padre
ei da pria mi parlava: a parte pormi
dell’esecrabil suo poter volea
per ora, e farmen poscia infame erede.
Dal tirannico ciglio umano pianto
scendea pur anco; e del suo guasto cuore,
senza arrossir, le piú riposte falde,
come a figlio, ei mi apriva. A farmi appieno
convinto in fine, un fatal foglio (oh cielo!)
legger mi fea. Servilia a lui vergollo
di proprio pugno. In quel funesto foglio,
scritto pria che si alzasse il crudel suono
della tromba farsalica, tremante
Servilia svela, e afferma, ch’io son frutto
dei loro amori; e in brevi e caldi detti,
ella scongiura Cesare a non farsi
trucidator del proprio figlio.
CIMBRO
Oh fero,
funesto arcano! entro all’eterna notte
che non restasti?…
CASSIO
E se qual figlio ei t’ama,
nel veder tanta in te virtú verace,
nell’ascoltar gli alti tuoi forti sensi,
come resister mai di un vero padre
potea pur l’alma? Indubitabil prova
ne riportasti omai, che nulla al mondo
Cesare può dal vil suo fango trarre.
BRUTO
Talvolta ancora il ver traluce all’ebbra
mente sua, ma traluce in debil raggio.
Uso in campo a regnar or giá molti anni,
fero un error lo invesca; ei gloria somma
stima il sommo poter; quindi ei s’ostina
a voler regno, o morte.
CIMBRO
E morte egli abbia
tal mostro dunque.
CASSIO
Incorreggibil, fermo
tiranno egli è. Pensa omai dunque, o Bruto,
che un cittadin di Roma non ha padre…
CIMBRO
E che un tiranno non ha figli mai…
BRUTO
E che in cor mai non avrá Bruto pace. -Sí,
generosi amici, al nobil vostro
cospetto io ’l dico: a voi, che in cor sentite
sublimi e sacri di natura i moti;
a voi, che impulso da natura, e norma,
pigliate all’alta necessaria impresa,
ch’or per compiere stiamo; a voi, che solo
per far securi in grembo al padre i figli,
meco anelate or di troncar per sempre
la tirannia che parte e rompe e annulla
ogni vincol piú santo; a voi non temo
tutto mostrare il dolore, e l’orrore,
che a brani a brani il cuor squarciano a gara
di me figlio di Cesare e di Roma.
Nemico aspro, implacabil, del tiranno
io mi mostrava in faccia a lui; né un detto,
né un moto, né una lagrima appariva
di debolezza in me; ma, lunge io appena
dagli occhi suoi, di mille furie in preda
cadeami l’alma. Ai lari miei men corro:
ivi, sicuro sfogo, alto consiglio,
cor piú sublime assai del mio, mi è dato
di ritrovar: fra’ lari miei la illustre
Porzia di Cato figlia, a Cato pari,
moglie alberga di Bruto…
CASSIO
E d’ambo degna
è la gran donna.
CIMBRO
Ah! cosí stata il fosse
anco Servilia!
BRUTO
Ella, in sereno e forte
volto, bench’egra giaccia or da piú giorni,
me turbato raccoglie. Anzi ch’io parli,
dice ella a me: «Bruto, gran cose in petto
da lungo tempo ascondi; ardir non ebbi
di domandarten mai, fin che a feroce
prova, ma certa, il mio coraggio appieno
non ebbi io stessa conosciuto. Or, mira;
donna non sono». E in cosí dir, cadersi
lascia del manto il lembo, e a me discuopre
larga orribile piaga a sommo il fianco.
Quindi soggiunge: «Questa immensa piaga,
con questo stil, da questa mano, è fatta,
or son piú giorni: a te taciuta sempre,
e imperturbabilmente sopportata
dal mio cor, benché infermo il corpo giaccia;
degna al fin, s’io non erro, questa piaga
fammi e d’udire, e di tacer, gli arcani
di Bruto mio».
CIMBRO
Qual donna!
CASSIO
A lei qual puossi
uom pareggiare?
BRUTO
A lei davante io quindi,
quasi a mio tutelar Genio sublime,
prostrato caddi, a una tal vista; e muto,
piangente, immoto, attonito, mi stava. –
Ripresa poscia la favella, io tutte
l’aspre tempeste del mio cor le narro.
Piange al mio pianger ella; ma il suo pianto
non è di donna, è di Romano. Il solo
fato avverso ella incolpa: e in darmi forse
lo abbraccio estremo, osa membrarmi ancora,
ch’io di Roma son figlio, a Porzia sposo,
e ch’io Bruto mi appello. – Ah! né un istante
mai non diedi all’oblio tai nomi, mai:
e a giurarvelo, vengo. – Altro non volli,
che del mio stato orribile accennarvi
la minor parte; e d’amistá fu sfogo
quant’io finora dissi. – Or, so; voi primi
convincer deggio, che da Roma tormi,
né il può natura stessa… Ma, il dolore,
il disperato dolor mio torrammi
poscia, pur troppo! e per sempre, a me stesso.
CIMBRO
Romani siamo, è ver; ma siamo a un tempo
uomini; il non sentirne affetto alcuno,
ferocia in noi stupida fora… Oh Bruto!…
Il tuo parlar strappa a me pure il pianto.
CASSIO
Sentir dobbiam tutti gli umani affetti;
ma, innanzi a quello della patria oppressa,
straziata, e morente, taccion tutti:
o, se pur parlan, l’ascoltargli a ogni uomo,
fuor che a Bruto, si dona.
BRUTO
In reputarmi
piú forte e grande ch’io nol son, me grande
e forte fai, piú ch’io per me nol fora. –
Cassio,ecco omai rasciutto ho il ciglio appieno. –
Giá si appressan le tenebre: il gran giorno
doman sará. Tutto di nuovo io giuro,
quanto è fra noi giá risoluto. Io poso
del tutto in voi; posate in me: null’altro
chieggo da voi, fuor che aspettiate il cenno
da me soltanto.
CASSIO
Ah! dei Romani il primo
davver sei tu. – Ma, chi mai vien?…
CIMBRO
Che veggio?
Antonio!
BRUTO
A me Cesare or certo il manda.
State; e ci udite.