SENATORI seduti. BRUTO E CASSIO ai lor luoghi. CESARE, preceduto dai Littori, che poscia lo lasciano; CASCA, CIMBRO, e molti altri, lo seguono. Tutti sorgono all’entrar di Cesare, finch’egli seduto non sia.
- CESARE
- Oh! che mai fu? mezzo il senato appena,
- benché sia l’assegnata ora trascorsa?…
- Ma, tardo io stesso oltre il dover, vi giungo. –
- Padri Coscritti, assai mi duol di avervi
- indugiati… Ma pur, qual fia cagione,
- che di voi sí gran parte ora mi toglie?
Silenzio universale.
- BRUTO
- Null’uom risponde? – A tutti noi pur nota
- è la cagion richiesta. – Or, non te l’apre,
- Cesare, appieno il tacer di noi tutti? –
- Ma, udirla vuoi? – Quei che adunar qui vedi,
- il terror gli adunò; quei che non vedi,
- gli ha dispersi il terrore.
- CESARE
- A me novelli
- non son di Bruto i temerari accenti;
- come a te non è nuova la clemenza
- generosa di Cesare. – Ma invano;
- che ad altercar qui non venn’io…
- BRUTO
- Né invano
- ad offenderti noi. – Mal si avvisaro,
- certo, quei padri, che in sí lieto giorno
- dal senato spariro: e mal fan quelli,
- che in senato or stan muti. – Io, conscio appieno
- degli alti sensi che a spiegar si appresta
- Cesare a noi, mal rattener di gioja
- gl’impeti posso; e disgombrar mi giova
- il falso altrui terrore. – Ah! no, non nutre
- contro alla patria omai niun reo disegno
- Cesare in petto; ah! no: la generosa
- clemenza sua, che a Bruto oggi ei rinfaccia,
- e che adoprar mai piú non dee per Bruto,
- tutta or giá l’ha rivolta egli all’afflitta
- Roma tremante. Oggi, vel giuro, un nuovo
- maggior trionfo a’ suoi trionfi tanti
- Cesare aggiunge; ei vincitor ne viene
- qui di se stesso, e della invidia altrui.
- Vel giuro io, sí, nobili padri; a questo
- suo trionfo sublime oggi vi aduna
- Cesare: ei vuole ai cittadini suoi
- rifarsi pari; e il vuol spontaneo: e quindi,
- infra gli uomini tutti al mondo stati,
- mai non ebbe, né avrá. Cesare il pari.
- CESARE
- Troncar potrei. Bruto, il tuo dir…
- BRUTO
- Né paia
- temeraria arroganza a voi la mia;
- pretore appena, osare io pure i detti
- preoccupar del dittatore. È Bruto
- col gran Cesare omai sola una cosa. –
- Veggio inarcar dallo stupor le ciglia:
- oscuro ai padri è il mio parlar; ma tosto,
- d’un motto sol, chiaro il farò. – Son figlio
- io di Cesare…
Grida universale di stupore.
- BRUTO
- Sí; di lui son nato;
- e assai men pregio; poiché Cesare oggi,
- di dittator perpetuo ch’egli era,
- perpetuo e primo cittadin si è fatto.
Grida universale di gioja.
- CESARE
- … Bruto è mio figlio, è ver; l’arcano or dianzi
- glie ne svelava io stesso. A me gran forza
- fean l’eloquenza, l’impeto, l’ardire,
- e un non so che di sovruman, che spira
- il suo parlar: nobil, bollente spirto,
- vero mio figlio, è Bruto. Io quindi, a farvi,
- Romani, il ben che in mio poter per ora
- non sta di farvi, assai di me piú degno
- lui, dopo me, trascelgo: a lui la intera
- mia possanza lasciar, disegno; in esso
- fondata io l’ho: Cesare avrete in lui…
- BRUTO
- Securo io stommi: ah! di ciò mai capace,
- non che gli amici, né i nemici stessi
- piú acerbi e implacabili di Bruto,
- nol credon, no. – Cesare a me sua possa
- cede, o Romani: e in ciò vuol dir, che ai preghi
- di me suo figlio, il suo poter non giusto
- Cesare annulla, e in libertá per sempre
- Roma ei ripone.
Grida universale di gioja.
- CESARE
- Or basti. Al mio cospetto
- tu, come figlio, e come a me minore,
- tacerti dei. – Cesare, o Padri, or parla. –
- Ir contra i Parti, irrevocabilmente
- ho fermo in mio pensiero. All’alba prima,
- colle mie fide legioni, io muovo
- ver l’Asia: inulta ivi di Crasso l’ombra,
- da gran tempo mi appella, e a forza tragge.
- Lascio Antonio alla Italia; abbialo Roma
- quasi un altro me stesso: alle assegnate
- provincie lor tornino e Cassio, e Cimbro,
- e Casca: al fianco mio Bruto starassi.
- Spenti i nemici avrò di Roma appena,
- a darmi in man de’ miei nemici io riedo:
- e, o dittatore, o cittadino, o nulla,
- qual piú vorrá. Roma a sua posta avrammi.
Silenzio universale.
- BRUTO
- – Non di Romano al certo, né di padre,
- né di Cesare pur, queste che udimmo,
- eran parole. I rei comandi questi
- fur di assoluto re. – Deh! padre, ancora
- m’odi una volta; i pianti ascolta, e i preghi
- di un cittadin, di un figlio. Odimi; tutta
- meco ti parla, or per mia bocca, Roma.
- Mira quel Bruto, cui null’uom mai vide
- finor né pianger, né pregar; tu il mira
- a’ piedi tuoi. Di Bruto esser vuoi padre,
- e non l’esser di Roma?
- CESARE
- Omai preghiere,
- che son pubblico oltraggio, udir non voglio.
- Sorgi, e taci. – Appellarmi osa tiranno
- costui; ma, nol son io: se il fossi, a farmi
- sí atroce ingiuria in faccia a Roma, io stesso
- riserbato lo avrei? – Quanto in sua mente
- il dittator fermava, esser de’ tutto.
- L’util cosí di Roma impera; e ogni uomo,
- che di obbedirmi omai dubita, o niega,
- è di Roma nemico; e lei rubello,
- traditor empio egli è.
- BRUTO
- – Come si debbe
- da cittadini veri, omai noi tutti
- obbediam dunque al dittatore. (2)
- CIMBRO
- Muori,
- tiranno, muori.
- CASSIO
- E ch’io pur anco il fera.
- CESARE
- Traditori…
- BRUTO
- E ch’io sol ferir nol possa?…
- ALCUNI SENATORI
- Muoia, muoia, il tiranno.
- ALTRI SENATORI, fuggendosi
- Oh vista! Oh giorno!
- CESARE (3)
- Figlio,… e tu pure?… Io moro…
- BRUTO
- Oh padre!… Oh Roma!…
- CIMBRO
- Ma, dei fuggenti al grido, accorre in folla
- il popol giá…
- CASSIO
- Lascia, che il popol venga:
- spento è il tiranno. A trucidar si corra
- Antonio anch’ei.
Note:
(2) Bruto snuda, e brandisce in alto il pugnale; i congiurati si avventano a Cesare coi ferri.
(3) Carco di ferite, strascinandosi fino alla statua di Pompeo, dove, copertosi il volto col manto, egli spira.
0